IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  9565  del  2008,  proposto  da  Spadoni  Maurizio,
rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Bellet, con domicilio eletto
presso il suo studio in Roma, via Flavio Stilicone n. 28; 
    Contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro  pro
tempore,   il    Ministero    della    giustizia    -    Dipartimento
dell'amministrazione   penitenziaria,   costituiti    in    giudizio,
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
domiciliati  per  legge  presso  i  suoi  uffici  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12, per l'annullamento  del  provvedimento  in  data  8
agosto 2008, ricevuto dal ricorrente il 12 agosto 2008, con cui stata
rigettata la  sua  istanza  di  riammissione  nel  Corpo  di  Polizia
penitenziaria, nonche' per la riammissione del ricorrente  nel  Corpo
di Polizia penitenziaria, nel ruolo di originaria appartenenza e  con
l'anzianita'  di   servizio   maturata   alla   data   dell'effettivo
reinserimento;  e  la  condanna  dell'amministrazione  intimata  alla
corresponsione,  in   favore   del   ricorrente,   delle   differenze
retributive dallo stesso maturate, a  far  corso  dalla  proposizione
dell'ultima istanza rigettata, in ragione della mancata  riammissione
in servizio nel Corpo di  Polizia  penitenziaria  e  dello  speculare
mantenimento nel ruolo amministrativo e nella qualifica di «operatore
amministrativo B2». 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
intimata; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti a  sostegno  delle  proprie
difese; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore nella pubblica udienza del  giorno  8  gennaio  2009  la
dott.ssa Rita Tricarico e uditi per le  parti  i  difensori  come  da
verbale d'udienza; 
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue. 
                              F a t t o 
    Il  sig.  Spadoni  e'  stato  arruolato  nel  Corpo  di   Polizia
penitenziaria  in  data  3  luglio  1992,  in  qualita'  di   «agente
semplice». 
    Essendogli stata diagnosticata  la  patologia  di  «leucemia  non
linfoide in attuale quiescenza clinica» ed essendo stato ritenuto non
idoneo allo svolgimento del servizio d'istituto, a decorrere  dal  16
novembre 1994, e' stato trasferito, su  sua  domanda,  ai  sensi  del
combinato disposto dell'art. 75, comma 1, e dell'art. 76  del  d.lgs.
30 ottobre 1992, n. 443, al ruolo amministrativo dell'Amministrazione
penitenziaria, con la qualifica  di  «operatore  amministrativo  -  V
q.f.». 
    Avendo  poi  conseguito  la  totale  guarigione  dalla   suddetta
patologia, come attestato con certificato medico del 14 febbraio 2006
prodotto in giudizio, con atto del 16 febbraio  2006,  lo  stesso  ha
chiesto di essere reintegrato nel  Corpo  di  Polizia  penitenziaria,
atteso che era venuta meno l'unica causa  che  ne  aveva  determinato
l'inidoneita' al servizio di istituto  ed  il  suo  trasferimento  ai
ruoli amministrativi. 
    Con fax dell'8 giugno 2006,  detta  istanza  e'  stata  respinta,
sull'assunto che, «ai sensi dell'art.  42,  comma  2  del  d.lgs.  n.
443/1992, il personale dispensato dal  servizio  per  infermita'  non
puo' essere riammesso». 
    Avendo il sig. Spadoni, con lettera del 14 febbraio 2007, assunta
in data 16 febbraio 2007 al n. 0321 di prot., contestato il  predetto
provvedimento, richiamando la sentenza della Corte costituzionale  26
gennaio 1994, n. 3, che sancisce  l'inoperativita'  della  richiamata
disposizione quando la dispensa dal servizio sia avvenuta per  motivi
di salute e l'infermita' sia successivamente venuta meno, e chiestone
l'annullamento ed avendo poi, in  data  1°  agosto  2008,  lo  stesso
reiterato  l'istanza  di  riammissione  nei   ruoli   della   Polizia
penitenziaria, con nota in data 8 agosto 2008,  l'amministrazione  si
nuovamente  pronunciata,  denegando  ancora  detta  riammissione.  In
questo caso essa ha invocato l'alt. 80 del  d.lgs.  n.  443/1992,  il
quale  stabilisce  che  «non  puo'  essere  riammesso  nel  ruolo  di
provenienza» il personale trasferito, a domanda, nelle corrispondenti
qualifiche di altri ruoli  dell'amministrazione  penitenziaria  o  di
altre amministrazioni dello Stato,  perche'  giudicato  assolutamente
inidoneo per motivi di salute, o trasferito, sempre a domanda,  nelle
corrispondenti  qualifiche  di   altri   ruoli   dell'amministrazione
penitenziaria  o  di  altre  amministrazioni  dello   Stato,   ovvero
d'ufficio, per esigenze di servizio, nelle corrispondenti  qualifiche
di  altri  ruoli   dell'amministrazione   penitenziaria,   sempreche'
l'infermita' accertata ne consenta  l'ulteriore  impiego,  in  quanto
abbia riportato un'invalidita' non dipendente da causa  di  servizio,
non comportante  l'inidoneita'  assoluta  ai  compiti  d'istituto,  o
ancora trasferito, a  domanda,  nelle  corrispondenti  qualifiche  di
altri   ruoli    dell'amministrazione    penitenziaria,    sempreche'
l'infermita'  accertata  ne  consenta  l'ulteriore  impiego,   avendo
riportato un'invalidita', dipendente da causa di  servizio,  che  non
comporti l'inidoneita' assoluta ai compiti d'istituto. 
    Con il presente ricorso stata impugnata detta nota e  sono  state
chieste  la   riammissione   al   servizio,   nonche'   la   condanna
dell'amministrazione intimata  alla  corresponsione,  in  favore  del
ricorrente, delle differenze retributive dallo stesso maturate, a far
corso dalla proposizione dell'ultima istanza  rigettata,  in  ragione
della  mancata  riammissione  in  servizio  nel  Corpo   di   Polizia
penitenziaria e dello speculare mantenimento nel ruolo amministrativo
e nella qualifica di «operatore amministrativo B2». 
    I motivi di censura dedotti sono i seguenti: 
        violazione di legge: artt. 3 e 36 Cost. ed art. 80 del d.lgs.
30 ottobre 1992, n. 443 - eccesso cli potere per difetto assoluto e/o
contraddittorieta'  di  motivazione:  considerando  l'interpretazione
attribuita dalla Corte costituzionale, con sentenza 26 gennaio  1994,
n. 3, all'art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, secondo cui essa
incostituzionale laddove non consente  la  riammissione  in  servizio
quando la dispensa avvenuta per motivi di  salute,  nonche'  pronunce
dei  giudici  di  merito   che   avrebbero   esaminato   disposizioni
sostanzialmente identiche, l'art. 80 del d.lgs. n. 443/1992,  di  cui
stata fatta in concreto applicazione,  dovrebbe  essere  interpretato
nel senso di consentire la riammissione in servizio, dopo  l'avvenuto
transito,  per  motivi  di  salute,  in  altri  ruoli  della   stessa
amministrazione o in altra amministrazione, quando sia intervenuta la
completa  guarigione  del  dipendente;  una  diversa  interpretazione
determinerebbe una violazione del principio di uguaglianza. 
    Si e' costituita in giudizio l'amministrazione intimata, a  mezzo
dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    Nella Camera di consiglio del 13 novembre 2008, il ricorrente  ha
rinunciato alla domanda cautelare ed stata fissata l'udienza pubblica
per la trattazione del merito. 
    Nell'udienza pubblica  dell'8  gennaio  2009,  il  ricorso  stato
trattenuto in decisione. 
                            D i r i t t o 
    1. - Con  il  ricorso  all'esame  del  Collegio  si  contesta  il
provvedimento  dell'Amministrazione   penitenziaria,   con   cui   al
ricorrente non stata consentita  la  riammissione  al  servizio,  che
contestualmente si richiede, insieme alla condanna  della  menzionata
amministrazione intimata alla corresponsione, in  suo  favore,  delle
differenze retributive dallo  stesso  maturate,  a  far  corso  dalla
proposizione dell'ultima istanza rigettata, in ragione della  mancata
riammissione in servizio nel Corpo di Polizia penitenziaria  e  dello
speculare mantenimento nel ruolo amministrativo e nella qualifica  di
«operatore amministrativo B2». 
    2. - Le censure mosse  si  fondano  sulla  ritenuta  possibile  e
dovuta interpretazione della disposizione  di  cui  all'art.  80  del
d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, nel senso di consentire, a seguito di
intervenuta guarigione, la riammissione nel ruolo di provenienza  del
dipendente, transitato, per motivi di salute, in  altri  ruoli  della
medesima amministrazione o in altra amministrazione. 
    Testualmente  la  menzionata  disposizione  cosi'   recita:   «Il
personale di cui ai commi 1, 3 e  5  dell'art.  75»,  quello  appunto
inidoneo al servizio in modo assoluto o comunque affetto da patologia
- dipendente o meno da causa di servizio - «trasferito ad altri ruoli
dell'amministrazione penitenziaria o ad altre  amministrazioni  dello
Stato non puo' essere riammesso nel ruolo di provenienza». 
    2.1. - La sentenza  della  Corte  costituzionale  invocata  dalla
parte  ricorrente  -  n.  3  del   26   gennaio   1994   -   dichiara
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 132 del d.P.R.  10  gennaio
1957, n. 3, nella parte in cui non comprende la dispensa dal servizio
per motivi di salute tra le fattispecie di cessazione del rapporto di
impiego in ordine alle quali possibile la riammissione in servizio. 
    E' evidente che si tratta di ipotesi del  tutto  differenti:  nel
caso investito dalla menzionata pronuncia del giudice delle leggi  la
riammissione  consegue  all'avvenuta  cessazione  del   rapporto   di
impiego, per cui essa funzionale ad  assicurare  l'esercizio  di  una
qualche attivita' lavorativa, che altrimenti ne rimarrebbe  precluso,
mentre in quello che ci occupa la reintegrazione si riferisce  ad  un
soggetto  che  gia  svolga  un  lavoro,  sebbene  diverso  da  quello
iniziale, a causa della patologia che ne ha comportato il transito in
altri ruoli della stessa amministrazione o in altre  amministrazioni,
e che aspiri a tornare all'attivita' originaria. 
    Pertanto,  per  quanto  sopra  Osservato,  si  tratta  di  ambiti
applicativi diversi, per nu, diversamente da quanto assunto in questa
sede, un'interpretazione letterale della disposizione  qui  in  esame
non andrebbe ad incidere sul principio di uguaglianza. 
    3. - Tuttavia  ritiene  il  Collegio  che  sussistano  ambedue  i
presupposti  per  poter  sollevare  la  questione  di   legittimitta'
costituzionale. 
    3.1. - In proposito, preliminarmente ci  si  interroga  circa  la
possibilita' per il giudice amministrativo di sollevare d'ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale. 
    A tale interrogativo deve rispondersi affermativamente, posto che
la previsione dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1 molto ampia e non  prevede  distinzioni  di  sorta  tra  giudice
ordinario e giudice amministrativo, stabilendo genericamente  che  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  possa  essere  «rilevata
d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio». 
    4. - Cio' acclarato, si ravvisa la  rilevanza,  per  il  presente
giudizio, della questione  della  legittimita'  costituzionale  della
disposizione di cui si lamenta la violazione - art. 80 del d.lgs.  30
ottobre 1992, n. 443 - in quanto, come  sopra  rimarcato,  essa,  per
come  formulata  e  stante   l'impossibilita'   di   attribuirvi   un
significato ermeneutico diverso, atteso l'evidente tenore  letterale,
non   consentirebbe   all'odierno   ricorrente   di   conseguire   la
riammissione nei ruoli della  Polizia  penitenziaria,  a  seguito  di
intervenuta completa guarigione della patologia da cui era affetto  e
che ne aveva determinato il transito, su domanda,  nei  ruoli  civili
della medesima amministrazione. 
    5. - A parere di questo giudice remittente,  sussiste,  altresi',
la non manifesta infondatezza  della  questione,  in  relazione  agli
artt. 2, 3, 4 e 35 della Costituzione. 
    5.1. - In particolare, l'art. 4 della Costituzione  riconosce  ai
cittadini,   qual   e'   sicuramente   l'odierno    ricorrente,    il
diritto-dovere al lavoro ed il successivo art. 35 stabilisce  che  lo
Stato  italiano  «tutel(i)  il  lavoro  in  tutte  le  sue  forme  ed
applicazioni». 
    La tutela garantita dalla Carta costituzionale  non  puo'  e  non
deve intendersi riduttivamente  solo  nel  senso  di  riconoscere  il
diritto del cittadino a svolgere una  qualche  attivita'  lavorativa,
idonea al sostentamento proprio e della propria famiglia, ed,  a  tal
fine, di approntare tutti gli interventi possibili  affinche'  ci  si
verifichi. 
    Una lettura piu' attenta, in particolare, dell'art. 4 conduce  ad
individuarne una porta ben piu' ampia. Quest'ultima  disposizione  di
rango costituzionale, infatti, al comma 2,  laddove  afferma  che  il
cittadino ha anche «il dovere di svolgere (...)  un'attivita'  o  una
funzione che  concorra  al  progetto  materiale  o  spirituale  della
societa»,  precisa  -  il  che  assume  in  questa  sede  un  rilievo
determinante  -  che  cio'  debba  avvenire   «secondo   le   proprie
possibilita' e la propria scelta». 
    Percio', anche la tutela  del  lavoro  in  tutte  le  sue  forme,
secondo quanto sancito dall'art. 35 della Costituzione,  deve  essere
tale da consentire che esso in concreto si svolga in base alla scelta
di ciascuno. 
    5.2. - La circostanza,  secondo  cui  l'attivita'  lavorativa  da
svolgere debba rispondere alle attitudini ed alla scelta  di  chi  la
esercita, si spiega agevolmente, ove si consideri che il lavoro  deve
reputarsi quale  strumento  di  esplicazione  e  realizzazione  della
personalita' del lavoratore; e' evidente che, ove invece si limitasse
ad  un'attivita'  meramente  strumentale  al  sostentamento,  non  lo
renderebbe possibile. 
    Ne deriva che un lavoro che non lo dovesse consentire si porrebbe
in chiaro contrasto con l'art. 2 della Costruzione, che  riconosce  i
diritti inviolabili dell'uomo,  quale  puo'  senz'altro  considerarsi
quello ad un'esistenza dignitosa e soddisfacente, conseguibile  anche
grazie alla realizzazione delle proprie attitudini ed aspirazioni  in
campo lavorativo. 
    6. -  La  disposizione  di  rango  primario,  rispetto  alla  cui
legittimita' costituzionale si  chiede  al  giudice  delle  leggi  di
pronunciarsi, non appare a questo giudice conforme ai citati articoli
della carta costituzionale. 
    Segnatamente, il tassativo divieto di  riammissione  in  servizio
nel ruolo di provenienza di chi sia transitato, per motivi di salute,
in altri ruoli della stessa Amministrazione, com'a  accaduto  per  il
ricorrente, o in altra Amministrazione - ipotesi del tutto  speculare
- quando sia intervenuta la guarigione, sembra porsi in contrasto con
detti articoli, in quanto venuta meno l'unica ragione  ostativa  allo
svolgimento della precedente attivita' lavorativa. 
    6.1.  -  Deve  preliminarmente  precisarsi  che,  a  parere   del
Collegio, in ordine alla riammissione nel ruolo di  provenienza,  ili
questa ipotesi non si ravvisa alcun contrasto  con  il  principio  di
buon andamento della pubblica  amministrazione,  anch'esso  di  rango
costituzionale, in quanto enucleato dall'art. 97 della  Costituzione,
atteso che, stante  la  guarigione  della  patologia  che  era  stata
l'unica  ragione  del  transito  di  che  trattasi,   il   dipendente
dell'amministrazione  risulta   perfettamente   idoneo   a   svolgere
nuovamente 1'attivita' lavorativa in tale molo, per il cui accesso ha
dovuto sostenere e vincere un apposito concorso. 
    6.2. - La ritenuta non manifesta infondatezza della questione  di
legittimita' costituzionale di tale disposizione si spiega in  quanto
la mancata riammissione non permette al dipendente, ormai guarito, di
svolgere l'attivita' lavorativa conforme, alla propria scelta ed alle
proprie attitudini e, percio',  di  realizzarsi,  cosi'  che,  sempre
secondo questo Collegio, appaiono violati i menzionati arti. 2,  4  e
35 della Costituzione. 
    6.3. - E', altresi', non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale del citato art. 80 del d.lgs. n. 443  del
1992, in relazione all'art. 3 della Costituzione, atteso che,  stante
per il dipendente, una volta guarito dalla  patologia  ostativa  allo
svolgimento dell'originaria attivitt lavorativa,  una  condizione  di
idoneita', sotto  ogni  profilo,  ivi  compreso  naturalmente  quello
fisico,   la   mancata   riammissione    costituisce    un'arbitraria
discriminazione nei confronti di quanti,  a  parita'  di  condizioni,
possano, invece, svolgere la medesima attivita' lavorativa. 
    7.  -  In  conclusione  questo  tribunale  sospende  il  presente
giudizio  e  solleva  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 80 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, per violazione degli
artt. 2, 3, 4 e 35 della Costituzione, nella parte in  cui  esso  non
consente, a seguito di intervenuta guarigione,  la  riammissione  nel
ruolo di  provenienza  del  dipendente,  transitato,  per  motivi  di
salute, in altri ruoli della  medesima  amministrazione  o  in  altra
amministrazione.